Le fate che cercano la luna. Leggende e luoghi magici delle Valli di Lanzo. Piccolo filmato per Mezzenile, luglio 2018.
Voce narrante: Mario Caiolo.
La prima comparsa del termine masca negli atti ufficiali risale all’Editto di Rotari del 643 che riporta: strigam, quam dicunt Mascam, cioè strega, che chiamano Masca. Quindi la masca è una strega, anzi, la strega è una masca?
Queste donne sapevano fare la fisica, vale a dire erano in grado di compiere dei riti magici grazie alla loro profonda conoscenza del mondo naturale. Con le erbe officinali e chissà con che cos’altro preparavano ogni sorta di intruglio, pozione e rimedio. Per la riuscita delle loro operazioni, si affidavano a incantesimi, formule magiche e fatture, scritte sul Libro del Comando. Difficile stimare quante donne piemontesi furono processate per mascheria, sottoposte a torture durante processi sommari per ottenere, anzi estorcere, la confessione peccaminosa: ammettere di essere una masca.
Questo iter giudiziario fu istituito dal tribunale della Santa Inquisizione e non era tanto diverso da quello riservato alle streghe, soprattutto per le conseguenze: le masche venivano bruciate vive sul rogo, proprio come le loro più note colleghe.
Era sufficiente un sospetto, magari legato a un comportamento considerato anomalo e forse alimentato dall’invidia, dall’antipatia o dal pregiudizio nei confronti della presunta masca. Da lì si diffondeva il pettegolezzo, che prendeva sempre più consistenza, fino a trovare dei riscontri in una o più circostanze poco chiare, di cui la masca veniva considerata responsabile.